Thread Forum:
Edward Buchanan
Editoriale
Edizione 90
12.11.2021
Edward Buchanan: il filo del discorso, il discorso del filo

Come nel filo conduttore che collega i vari interventi in una conversazione online, il progetto Thread Forum, curato da Antonio Mancinelli, è una ricognizione sul ruolo della maglieria nell’estetica contemporanea. Grazie a una serie di interviste ai più noti knitwear designer del mondo selezionati tra coloro che intervengono a Pitti Filati, intende anche dare risposte agli interrogativi che spesso si pongono retailer e acquirenti, ma a cui non si trovano facili risposte: dialoghi sul “qui” e “ora” di una materia che fa parte da sempre della cultura del vestire.

Nel percorso professionale di Edward Buchanan, designer americano ma ormai milanese di adozione, che comprende tappe importanti come la direzione creativa di Bottega Veneta dal 1995 al 2001 di cui ha “inventato” il prêt-à-porter, la creazione del marchio LEFLESH fino al lancio della collezione Sansovino 6 nel 2009 con un forte focus sulla maglieria, di sicuro è quest’ultima che gli ha regalato maggiori soddisfazioni. «Quando ho iniziato, di filati e punti non sapevo praticamente quasi nulla: l’innamoramento è arrivato dopo». Docente di tecnica e design della maglieria, consulente per grandi aziende – ora sta per uscire una sua co-lab con Off-White, il cui direttore creativo è Virgil Abloh - Sansovino 6 nasce come rivisitazione del concetto di capo progettato come un pezzo di design «perché non m’interessa seguire i trend, ma neanche creare un guardaroba basico, da considerare semplicemente come minimale. È molto di più: un esperimento, un banco di prova, un tentativo di relazionarmi con qualcosa sempre di nuovo ma resista al tempo».

 
Che rapporto ha con la maglia come materia, come sostanza, come essenza?

«Intimo, assoluto, intenso. È il medium perfetto per tradurre in realtà tattile e indossabile l’essenza del mio stile, che è molto debitore alla Bauhaus: forma, funzione, ottime possibilità di utilizzo insieme alla ricerca di una nuova eleganza».
Non crede che abbia un ruolo fondamentale nella sua concezione di moda spesso portatrice anche di messaggi politici, estetici, culturali, sociali?

«Assolutamente. Con la sua duttilità, la maglia si presta a interpretare concetti legati a temi come la diversity, l’inclusività, il superamento dei generi. Infatti, prima di definirmi un fashion designer, io dico di essere un grande Comunicatore, un cantastorie, uno storyteller: per esempio, il progetto Check Your Neck del 2017 era destinato a comunicazione. Le tre sciarpe con slogan come “Resist”, “We Are All Migrants” e “Wake Up for Freedom”, non sarebbe stato possibile se non le avessi realizzate in maglia. E l’idea che tutto questa nasca da un singolo filo che va costruire un’intera superficie esprime la possibilità di raccontare storie infinite. Le possibilità sono davvero infinite. La maglia, a sua volta, racchiude tante vicende da raccontare».

Quali di queste l’attirano di più?

«La flessibilità. La confortevolezza. Il non costringere il corpo, ma allo stesso tempo sottolinearne le forme, senza metterlo in difficoltà o rinchiuderlo dentro strutture troppo rigide. E la totale assenza di link a un genere sessuale. Fin dall’inizio, Sansovino 6 si è posta come una collezione destinata a individui, prima che a uomini e/o a donne: all’inizio ha creato molte difficoltà con i retailer, che pur amando i miei prodotti, non sapevano dove sistemarli, se nel reparto uomo o donna. Ma mi sono divertito anche con i colori, come i pullover azzurri foderati di rosa. O viceversa».


 
Qual è la differenza tra progettare per un grande brand e per una situazione più raccolta – anche se proiettata nella stessa dimensione del luxury?

Se lavori per un grande marchio, avverti il peso dell’heritage e del riproporre certi stilemi che rendono riconoscibile, visibile quella maison e la sua storia. Nel mio caso, per Sansovino 6, pur non avendo la stessa disponibilità economica, c’era il mio stile in maniera totale. Nessun confine, nessuna imposizione, nessun obbligo di raggiungere per forza un certo fatturato.

Sinceramente: la maglieria può essere veramente sostenibile?

Non si può pretendere che lo sia al 100%. È impossibile. Chi sostiene il contrario, dice una bugia. Poi, certamente, lavoriamo sull’upcycling delle materie prime, come il cashmere rigenerato o altre fibre nobili che possono vivere una seconda vita. Ma tutto dipende dal significato che diamo alla parola “sostenibilità”: per me non si deve sottovalutare l’aspetto della durevolezza, quel “buy less, buy better” che oggi è diventato uno slogan. Educare i consumatori a comprare meno ma meglio, significa però proporre capi che siano studiati secondo un’estetica originale, unica, meditata.

Portrait by @lucaspossiede